Dopo tre anni di attesa, finalmente oggi i fan di Luciano Ligabue hanno potuto ascoltare per intero le 11 tracce (di cui due già uscite come singoli, Riderai e Una canzone senza tempo) del suo nuovo album: Dedicato a noi. Un “noi” che in questo disco, ma anche nella sua intera carriera, è sempre presente e a cui Liga si stringe nei momenti più difficili, come un’ancora a cui aggrapparsi. “È un noi non molto delineato, i cui confini non sono così netti, è come se denunciasse un po’ un mio bisogno di appartenenza”.
Nel suo ultimo progetto troviamo un Ligabue più intimo con pezzi in cui i sentimenti emergono forti e preponderanti. C’è un rimando a 30 anni fa, con il prosieguo della storia dei protagonisti di Salviamoci la pelle, in Così come sei.
E c’è un pensiero a come potrebbero essere quei giovani di allora nel mondo di oggi, a 18 anni e con ancora tutto da scoprire in Stanotte più che mai. “Ho voluto vedere come sono due diciottenni oggi, la cui adolescenza, quindi il periodo più formativo di tutte le nostre esistenze, è stata segnata dalla pandemia. Fragilità e insicurezze riescono a essere vinte da qualcosa che ha quasi a che fare con la magia”.
E ancora c’è l’amore con la moglie Barbara Pozzo, con il loro rapporto spiegato ne La metà della mela in cui si narra “di quello che si affronta anche insieme quando si scommette sulla relazione, si scommette sul voler stare insieme. Una delle risposte che mi sono dato per rispondere allo spiazzamento generale in cui anch’io mi sono ritrovato è stringermi ancora di più a chi mi è più vicino, so che tante volte si comincia anche da lì, dal rapporto a due”.
Torna il rapporto con Dio, a cui Ligabue più volte si è rivolto nel corso della sua carriera. “Io non sono più cattolico praticante, lo sono stato e penso che non si smetta mai di esserlo del tutto, però sono credente, credo nel fatto che non sia tutto qua, quindi ho un bisogno spirituale molto forte. Le strofe della canzone sono un elenco di paure che spesso sono una opposta alle altre e sono vissute entrambe: paura di essere come gli altri e paura di non essere come gli altri; paura di essere visti, paura di non essere visti mai; paura che Dio ci sia, paura che Dio non esista. A volte si vivono tutte e due le paure, e il fatto che si abbiano più paure, in generale, dipende ancora dal senso di solitudine in cui siamo finiti, dalla società in cui viviamo, dal contesto che ci si è formato attorno”.
Un rocker che però è una definizione che va stretta a Ligabue, che così tanto “rocker” non si sente. “Non sono sicuro di sentirmi rocker, io non mi sono mai autodefinito e mi sono beccato le definizioni che arrivavano, qualunque esse fossero. Mi hanno messo nella casella rock evidentemente perché hanno sentito alcune cose nella musica che mi includevano in quella categoria”.
Anche il successo a Liga è stato più volte un po’ stretto, tanto che “nel ‘99 ho quasi deciso di ritirarmi, perché quando mi è arrivato il successo in una forma e in una sostanza che non pensavo di poter mai vivere in vita mia ho visto l’altro lato della medaglia, ovvero il tipo di isolamento che crea, il fatto che non riesci a parlare con una persona, ma parli sempre con l’idea che la persona si fa di te”.
Ma alla fine quella voglia di tornare sul palco, come farà a partire dal 9 ottobre per il tour nei palazzetti, ha prevalso perché “il palco tira fuori una parte di me che trasmette un senso di sicurezza di sé, trasmette un senso di confidenza non solo nei propri mezzi, ma in quello che stai dicendo, che giù dal palco hai molto meno. Comunque c’è, mi fa star bene e ho trovato un mio equilibrio, quindi proseguo”.
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(fonte 105.net)
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